Quando un dipendente si assenta ripetutamente dal lavoro si delinea un caso di assenteismo che può portare anche al licenziamento per giusta causa. È possibile dimostrarlo con le indagini aziendali
Si parla di assenteismo sul lavoro quando un dipendente si assenta dal luogo di lavoro per un certo periodo di tempo senza un valido motivo. Tale fenomeno si verifica con assenze ingiustificate, uso frequente di permessi retribuiti e ricorso sistematico ai permessi per malattia: si tratta di una condotta scorretta che espone il dipendente a sanzioni di varia entità.
Oggi sempre più imprese in Italia sono colpite da tale fenomeno, che può verificarsi sia all’interno dei comuni ed enti pubblici, causando un gap nella predisposizione di servizi di interesse generale, sia nel privato.
L’assenteismo provoca, infatti, gravi danni anche alle aziende (soprattutto piccole e medie imprese), in cui la mancanza ingiustificata di anche poche unità lavorative può compromettere l’intero processo di produzione. Questo ha delle conseguenze rilevanti sull’economia aziendale e sugli altri lavoratori, in quanto è necessario sostituire la risorsa e modificare i programmi di lavoro.
Le cause più comuni dell’assenteismo
Le assenze giustificate, come le ferie pianificate e le emergenze familiari, non sono ovviamente considerate assenteismo. I dipendenti, infatti, possono essere costretti ad assentarsi in maniera non pianificata per malattia o per prendersi cura di parenti malati o anziani.
La principale causa di assenteismo, invece, deriva da finta malattia o finto infortunio, che diventano quindi un escamotage per assentarsi dal luogo di lavoro.
Un altro motivo può essere la presenza di un secondo lavoro (retribuito in nero) o anche per cercarne uno nuovo. Capita, inoltre, molto spesso che un dipendente si assenti con l’obiettivo di essere licenziato per giusta causa, al fine di ottenere l’indennità di disoccupazione.
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I lavoratori dipendenti che perdono involontariamente il proprio posto di lavoro hanno, infatti, diritto alla NASpI. Pertanto, il licenziamento per giusta causa, rientrando nella disoccupazione involontaria, permette al lavoratore assenteista e scorretto di ricevere l’indennità, misura che invece non gli spetterebbe nel caso di dimissioni volontarie.
Infine, un’altra causa molto comune è quella della falsa attestazione di presenza sul luogo di lavoro, realizzata tramite la timbratura fittizia del badge identificativo.
Cosa rischia il dipendente in caso di assenteismo
Va precisato che né il Codice Civile né quello Penale annoverano esplicitamente l’assenteismo sul lavoro come reato. Sono, però, previsti determinati obblighi del lavoratore nei confronti del datore di lavoro, come l’obbligo di diligenza (art.2104 – Diligenza del prestatore di lavoro) e di fedeltà (art. 2105).
Sono, invece, da considerare una serie di reati diversi, come ad esempio la truffa e la falsa dichiarazione, nel caso in cui un dipendente presenti un certificato medico falso, oltre alla percezione indebita di erogazioni statali.
L’assenteismo sul lavoro comporta comunque la violazione dei doveri di fedeltà, buona fede e correttezza inerenti al rapporto di lavoro subordinato, violazione che può essere sanzionata con il ricorso al licenziamento per giusta causa.
Licenziamento per giusta causa
Il licenziamento è l’atto con il quale l’azienda pone fine unilateralmente al rapporto di lavoro, a prescindere dalla volontà del dipendente. Con il termine “giusta causa” si intende una trasgressione o una inadempienza da parte del lavoratore, tale da compromettere il rapporto di fiducia instauratosi con il suo datore e da non permettere la prosecuzione del rapporto di lavoro. Qualsiasi altra sanzione risulta, dunque, insufficiente a tutelare l’interesse del datore di lavoro.
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Disciplinato dall’art 2119 cc, è la forma più grave di licenziamento, tale da troncare immediatamente il rapporto di lavoro, salvo il tempo necessario per accertare i fatti contestati al lavoratore. Deve, infatti, essere preceduto dalla preventiva comunicazione, al fine di consentire un’adeguata difesa. Inoltre, non è prevista l’erogazione, da parte del datore di lavoro, dell’indennità di preavviso.
Come già detto, però, nel caso di licenziamento per giusta causa è prevista la NASpI, l’indennità mensile di disoccupazione erogata ai lavoratori, così come il TFR, ovvero il Trattamento di Fine Rapporto.
Non esiste, però, una linea normativa univoca e, se un dipendente accusato di assenteismo è licenziato e impugna il provvedimento facendo ricorso, spetterà al giudice o alla Cassazione pronunciarsi in maniera definitiva in merito.
Come dimostrare l’assenteismo del dipendente
L’onere della prova in relazione alla sussistenza di assenteismo spetta al datore di lavoro. Con l’Ordinanza n. 11697/2020 la Cassazione ha ribadito il diritto del datore di lavoro di rivolgersi a una agenzia investigativa per tenere sotto controllo i comportamenti del dipendente.
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Per accertare e provare che si tratta di assenteismo è necessario affidarsi a professionisti di investigazioni aziendali, come Revela, in grado di raccogliere tutte le informazioni e le prove utili per poter procedere legalmente nei confronti del dipendente.
L’attività di investigazione è svolta nel rispetto della privacy del dipendente. Le prove, utili a documentare il licenziamento per giusta causa, sono raccolte in una relazione finale, che sarà presentata come prova documentale in sede di giudizio.
Solo con le investigazioni aziendali è possibile raccogliere prove forti che permettono, nella maggioranza dei casi, di provare l’assenteismo ingiustificato sul lavoro e di giungere al licenziamento senza arrivare in giudizio.