Stato di insolvenza: quando si arriva alla liquidazione giudiziale

Stato di insolvenza: quando si arriva alla liquidazione giudiziale

Lo stato di insolvenza è una condizione irreversibile, in cui l’imprenditore non riesce a pagare regolarmente i propri debiti. Quando non ci sono più possibilità di salvezza per l’azienda si arriva alla liquidazione giudiziale

Lo stato di insolvenza si verifica quando un imprenditore si trova in una situazione di difficoltà e non riesce più a pagare regolarmente i propri debiti. Si tratta di una condizione irreversibile, in cui è impossibile adempiere ai pagamenti. In questo caso, l’azienda è considerata fallita.

Con il nuovo Codice della crisi d’impresa e dell’insolvenza (D. Lgs. n. 14/2019), entrato in vigore il 15 luglio 2022, però, non si parla più di fallimento, bensì di liquidazione giudiziale. Si elimina, così, ogni connotazione di discredito personale e morale dell’imprenditore insolvente.

Il nuovo Codice rappresenta un importante passo avanti nell’ammodernamento del nostro ordinamento giuridico. Tra le novità introdotte c’è la considerazione che la crisi sia un fenomeno fisiologico della vita dell’impresa.

L’obiettivo principale è quello di preservare le aziende e contenere il più possibile i rischi di chiusura, garantendo a quelle sane che sono in difficoltà di poter beneficiare di una seconda opportunità.

La riforma è stata, infatti, sviluppata nell’ottica di favorire la diagnosi tempestiva della crisi per la salvaguardia della continuità aziendale e per non arrivare ad uno stato di irreversibilità, la liquidazione giudiziale appunto.

Cos’è lo stato di insolvenza

Occorre prima di tutto precisare che non si può parlare di stato di insolvenza se l’imprenditore ha una momentanea difficoltà a soddisfare una singola obbligazione o poche obbligazioni in un lasso di tempo limitato.

Si deve trattare, invece, di una situazione cronica, ovvero la generale incapacità a saldare i debiti, con il normale esercizio d’impresa, anche in futuro. Questo vuol dire che anche in presenza di una crisi di liquidità, lo stato di insolvenza non sussiste se l’imprenditore ha ancora sufficiente credito presso le banche ed è, quindi, in grado di ottenere in qualunque momento fondi necessari per pagare i propri debiti.


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Contrarre debiti è un processo inevitabile quando si gestisce un’attività. Durante il corso della vita aziendale può, quindi, essere necessario chiedere un prestito a una banca. I problemi iniziano, come già detto, quando i debiti sono troppi e costanti e non si riesce più a pagarli. In certi casi, poi, si ricorre a mezzi di pagamento anomali.

Lo stato di insolvenza deve, inoltre, essere irreversibile e manifestarsi anche all’esterno. In queste situazioni solitamente le banche non concedono più finanziamenti e sono presenti diversi decreti ingiuntivi e protesti. Nei casi più gravi può succedere, per di più, che l’imprenditore chiuda i locali, si dia alla fuga o sottragga beni alla società.

Quali sono le cause

Lo stato di insolvenza di un’azienda non arriva all’improvviso e le cause sono numerose. Possono, per esempio, essere legate a errori di gestione interna o a una inadeguata struttura organizzativa.


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Spesso sono il risultato di scelte sbagliate nell’ambito della gestione del flusso di cassa, che comporta inevitabilmente conseguenze sul conto economico o sullo stato patrimoniale.

Nella maggior parte dei casi le ragioni sono però esterne: crisi economica, cambiamenti dei mercati, presenza di competitor più efficienti. La situazione è peggiorata negli ultimi anni, prima a causa della pandemia, poi della guerra in Ucraina.


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Ovviamente, con un’analisi approfondita dei bilanci, che è strettamente connesso al patrimonio netto aziendale, è possibile avere le prove relative allo stato di insolvenza.

Conseguenze dello stato di insolvenza: la liquidazione giudiziale

Quando non ci sono più possibilità di salvezza per l’azienda si arriva alla liquidazione giudiziale. È da considerarsi, quindi, l’ultima spiaggia, da attivarsi qualora tutte le altre strade previste dal Codice della Crisi d’impresa non abbiano sortito l’effetto desiderato (piano di pagamento dilazionato, concordato preventivo, ecc.).

Non tutti, però, possono fallire: devono esserci anche specifici requisiti soggettivi. Non rientrano, per esempio, in tale categoria i cosiddetti piccoli imprenditori.


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Possono, invece, essere sottoposte a tale procedura tutte le attività commerciali che producono beni e servizi, svolgono attività bancarie e assicurative, svolgono attività di commercio all’ingrosso.

Tale procedura giudiziale è ammessa, inoltre, quando la somma complessiva dei debiti scaduti e non pagati dal debitore risulti superiore a 30.000,00 €.

La domanda di liquidazione giudiziaria può essere fatta, tramite ricorso, dal debitore, dal pubblico ministero, dai creditori e dagli organi di controllo e di vigilanza. I beni dell’azienda sono, quindi, venduti e i proventi suddivisi tra i vari creditori.


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Nella liquidazione giudiziaria i creditori non sono tutti uguali, ma divisi in classi. Infatti, i creditori della classe inferiore sono soddisfatti solo se avanzano somme dalla soddisfazione dei creditori della classe superiore, tra cui ci sono i dipendenti.

Per queste situazioni irrimediabilmente compromesse, il legislatore punta comunque a ridurre i tempi e la burocrazia che hanno da sempre caratterizzato i fallimenti d’impresa, garantendo ai creditori l’ottenimento di un, seppur parziale, soddisfacimento del proprio credito.

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