Report aziende italiane: il 45% è a rischio fallimento

Report aziende italiane: il 45% è a rischio fallimento

Secondo il report aziende dell’Istat il 45% non reggerebbe ad un’altra crisi e sale il rischio di insolvenza aziendale. Molte le imprese italiane che hanno già chiuso

Dal report aziende italiane dell’Istat emerge un dato allarmante: il 45% è strutturalmente a rischio. Questo vuol dire che non resisterebbero ad un’altra crisi e potrebbero, quindi, chiudere. In questa situazione il rischio di insolvenza aziendale sale notevolmente, addirittura fino al 95% per i ristoranti e al 75% per le agenzie di viaggio.

Il Rapporto 2021 dell’Istituto nazionale di statistica sulla competitività dei settori produttivi ha fotografato l’effetto della pandemia sulle imprese italiane. La crisi ha colpito soprattutto le imprese di piccola e piccolissima dimensione e si è manifestata prevalentemente attraverso un crollo della domanda interna e della liquidità.

L’impatto sui settori produttivi è stato estremamente eterogeneo, anche a causa della selettività dei provvedimenti di contenimento del contagio. Il calo del fatturato annuo risulta leggermente più accentuato per i servizi rispetto alla manifattura.

Ed è, infatti, proprio nel terziario che la pandemia ha manifestato gli effetti più severi, in particolare nei comparti legati al turismo. Oltre un quarto delle imprese di questo settore, infatti, non è ancora riuscito a pianificare strategie di reazione alla crisi.

Le imprese italiane chiuse nel 2020

Secondo la denuncia di Confcommercio hanno chiuso nel 2020 oltre 390.000 imprese per Covid (85.000 le nuove aperture). Questa la stima sulla nati-mortalità delle imprese del commercio non alimentare, dell’ingrosso e dei servizi dell’Ufficio studi di Confcommercio. Secondo quest’ultimo la riduzione del tessuto produttivo nei settori considerati ammonterebbe a quasi 305.000 imprese (-11,3%).

Tra i settori più colpiti, nell’ambito del commercio: abbigliamento e calzature (-17,1%), ambulanti (-11,8%) e distributori di carburante (-10,1%).  Nel settore dei servizi di mercato le maggiori perdite di imprese si registrano, invece, per: agenzie di viaggio (-21,7%), bar e ristoranti (-14,4%) e trasporti (-14,2%).


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C’è poi tutta la filiera del tempo libero che, tra attività artistiche, sportive e di intrattenimento, fa registrare complessivamente un vero e proprio crollo con la sparizione di un’impresa su tre. Alla perdita di imprese va poi aggiunta anche quella relativa ai lavoratori autonomi, ovvero quei soggetti titolari di partita Iva operanti senza alcun tipo di organizzazione societaria.

La fotografia sulla situazione attuale

Secondo il report aziende dell’Istat, come già detto, il 45% di esse è strutturalmente a rischio. Queste imprese sono numerose nei settori a basso contenuto tecnologico e di conoscenza. Appena un’impresa su nove (11%) appare, invece, in condizione di piena solidità. Si tratta però delle aziende più grandi.

La crisi pandemica ha, inoltre, inciso sulle strategie di finanziamento delle imprese che, per fronteggiare la crisi di liquidità, hanno utilizzato un insieme ampio di strumenti nell’ambito dei quali il credito bancario ha rivestito un ruolo centrale. In generale, sulla base delle indicazioni fornite dalle imprese per il 2021, le modifiche ai canali di finanziamento indotte dalla pandemia appaiono transitorie e legate per lo più alle conseguenze economiche dell’emergenza sanitaria.

Risultano colpite tutte le regioni, ma l’impatto più forte è al Centro-Sud. Undici quelle più a rischio, sette sono nel Mezzogiorno (Campania, Abruzzo, Basilicata, Calabria, Sicilia, Sardegna, Puglia), una sola al Nord (provincia autonoma di Bolzano) e tre nel centro Italia (Lazio, Umbria e Toscana).

I settori più a rischio secondo il report aziende

La quota di chi segnala seri rischi di chiusura è elevata nelle attività delle agenzie di viaggio (oltre 73%), in quelle artistiche e di intrattenimento (oltre 60%), nell’assistenza sociale non residenziale (circa 60%), nel trasporto aereo (59%), nella ristorazione (55%). Nel comparto industriale risaltano le difficoltà della filiera della moda: abbigliamento (oltre 50%), pelli (44%), tessile (35%).


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Nei servizi risulta strutturalmente fragile o a rischio circa il 50% delle imprese, con picchi elevatissimi in alcuni settori a bassa intensità di conoscenza: ristorazione (95,5%), servizi per edifici e paesaggio (90%), altre attività di servizi alla persona (92,1%), attività sportive e di intrattenimento (85,5%).

Nell’industria, invece, quote elevate si osservano in alcuni comparti a basso contenuto tecnologico: legno (79,7%), costruzioni specializzate (79,7%), alimentari (78,5%), abbigliamento (73,2%).

Cosa succederà?

Nonostante uno scenario in miglioramento, secondo il report aziende dell’Istat le prospettive di ripresa per il 2021 sono limitate. 

L’insolvenza di molte imprese, che costituisce il principale rischio nei mesi a venire per il sistema produttivo italiano, aumenta l’esposizione del sistema bancario, implicando possibili tensioni sia sui bilanci delle banche, sia sui rapporti banca-impresa.

Le misure di sostegno anti Covid hanno dato, come già detto, un aiuto alle imprese in ginocchio, salvando anche molte di esse. Non si può trascurare il fatto che potrebbero, però, verificarsi ulteriori fallimenti nel 2021 e questo dipenderà molto dal perdurare o meno delle misure fiscali e di sostegno del Governo.

Il questo scenario di incertezza e di rischio diventa ancora più indispensabile valutare bene la solvibilità e l’affidabilità dei partner. Per una valutazione completa è opportuno affidarsi a società specializzate che, attraverso strumenti di Business Information, sono in grado di fornire informazioni commerciali su qualsiasi impresa.

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