Secondo il Rapporto Cerved 2020, a causa della pandemia il numero di PMI a rischio potrebbe quasi raddoppiare. Il report aziende diventa, così, fondamentale per valutare affidabilità e solvibilità dei propri partner
A risentire della crisi dovuta all’epidemia da Covid sono soprattutto le PMI: per questo i Report aziende diventano uno strumento necessario per conoscere la salute economico/finanziaria dei propri clienti e fornitori.
La Gestione del credito ha già risentito duramente della crisi e gli effetti sono particolarmente evidenti sulle insolvenze e sulle performance di recupero, per non parlare dei nuovi UTP e NPL generati.
Il Market Watch Npl di Banca Ifis, presentato in occasione dell’Npl meeting di Cernobbio, prevede infatti per il 2021 che il tasso di deterioramento dei crediti nei portafogli delle banche italiane passerà dall’1,3% del 2020 al 2,8%. In un contesto peggiorativo il tasso di deterioramento potrebbe, però, salire al 3,4%.
In tema di novità, poi, dal prossimo anno entrerà in vigore la nuova definizione di default (inadempienza), che stabilisce criteri e modalità più restrittive in materia di classificazione a default rispetto a quelli finora adottati.
Il rischio di credito generato dal portafoglio clienti rappresenta una delle principali cause che possono determinare per l’impresa una crisi di liquidità. È proprio in questo contesto che diventa necessario per le aziende conoscere con esattezza la salute economico/finanziaria dei propri clienti o fornitori.
La situazione delle PMI prima del Covid
Il Rapporto Cerved 2020 ha analizzato proprio la situazione delle piccole e medie imprese. Già a partire dalla seconda metà dello scorso anno era evidente una perdita di slancio delle PMI, che non aveva comunque interrotto il lungo processo di rafforzamento patrimoniale e finanziario, avviato dopo la doppia recessione. Di fronte allo tsunami della pandemia, arriva quindi un sistema di PMI con un alto livello di resilienza.
L’analisi è stata condotta su 158mila società. I dati indicano che il sistema di PMI italiane arriva di fronte all’emergenza Covid dopo un decennio caratterizzato da una ripresa lenta e incompiuta, che ha consentito di recuperare solo parzialmente i livelli dei conti economici pre-crisi finanziaria. In termini reali, i ricavi sono tornati oltre i livelli del 2007 (+2%), ma la redditività rimane ampiamente al di sotto.
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A seguito delle due recessioni (2008-09 e 2011-12) c’è stato un processo di selezione e ristrutturazione che ha reso le piccole e medie imprese più solide dal punto di vista patrimoniale e finanziario, con un processo che è proseguito anche nel corso del 2019.
Grazie a un maggiore livello di solidità, le PMI italiane sono diventate anche più disciplinate nei pagamenti con i fornitori, con i ritardi medi delle fatture scesi da 14,7 giorni del 2014 a 9 giorni di marzo 2020.
Gli score economico-finanziari danno una misura di questo processo: il numero di PMI con un bilancio rischioso è passato da 37 mila nel 2007 a 17 mila nel 2019. La presenza di PMI rischiose si è, quindi, più che dimezzata in tutti i settori economici.
La situazione delle PMI durante il Covid
Le conseguenze sono molteplici, peculiari alla pandemia e diverse dalle crisi precedenti. Per alcuni settori gli effetti saranno devastanti, mentre pochi comparti potrebbero addirittura beneficiare di questa fase.
Nel complesso, i fatturati delle PMI sono attesi, nel 2020, in calo di 11 punti percentuali. Di fronte all’emergenza e ai mancati ricavi, le attese sono di una decisa riduzione dei costi da parte delle PMI.
È ovvio che una delle conseguenze è la crescita delle quote di fatture inevase, che è progressivamente cresciuta dal 29% di gennaio 2020 a un massimo del 45% a maggio, per poi scendere a giugno e luglio (37%), rimanendo tuttavia a livelli ben superiori rispetto a quelli pre-Covid.
Il numero di PMI “a rischio” potrebbe quasi raddoppiare, passando dall’8,4% al 16,3%, e sarà asimmetrico.
A seguito della seconda ondata, però, la quota di PMI a rischio di insolvenza potrebbe crescere di altri 5 punti, arrivando al 21,4%, e nei settori più colpiti dal Covid la presenza di imprese ad alta probabilità di default potrebbe anche superare il 50%.
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